giovedì 17 novembre 2011

La Natura Rediviva. Del somaro.



Nature Redivive rappresenta la più rilevante esposizione pittorica di Natura Morta contemporanea mai realizzata in Italia, per numero e qualità degli artisti partecipanti e assume un rilievo internazionale grazie alla partecipazione di prestigiosi artisti esteri, fra cui il francese Philippe Garel e la spagnola Isabella Molard”.

Già solo questo basta a far scompisciare dalle risate. Non tanto o solo per la grossolanità dell'affermazione (“il sonno della ragione genera mostre” verrebbe da dire osservando il desolante panorama espositivo italiano, pieno solo di nomi ma senza idee né contenuti al loro interno), ma per i contenuti, frutto di scelte non solo parziali ma troppo limitate per poter sostenere un'affermazione del genere.

Prima di tutto si tratta di una mostra quasi completamente plagiata da precedenti esposizioni ideate e curate dal sottoscritto. Anche e non solo perché in essa sono contenuti una quantità di artisti notoriamente scoperti e sostenuti lungamente dallo scrivente, ma complessivamente per le scelte, che in larga parte, troppa, ricalcano quelle contenute nella mia mostra “Nature in posa” del 2004 e “Contemplazioni” del 2009, penalizzate da omissioni gravissime, specie dopo un'enunciazione come quella affermata e, soprattutto, per essere una mostra apparentemente pubblica, quindi con finalità meramente culturali.

Come si fa, infatti, ad affermare che si tratta della “più rilevante esposizione pittorica di Natura Morta contemporanea mai realizzata in Italia quando dalla stessa mancano i più grandi protagonisti (viventi) del genere stesso, da Piero Guccione, forse il pittore italiano iconico più celebrato, a Carlo Guarienti fino a Giancarlo Vitali, Dino Boschi, Michele Taricco (il primo pittore “iperrealista” italiano), Alberto Sughi, Carlo Maria Mariani, Alberto Abate, Ubaldo Bartolini, Omar Galliani, Luca Vernizzi, Franco Sarnari, Aurelio Bulzatti, Paolo Vallorz, Claudio Bonichi, Mario fallani, Gianni Cacciarini, Giorgio Tonelli, Piero Vignozzi, Lino Frongia, Silvano Gilardi, Fabio Aguzzi, Giuseppe Carta, Luigi Benedicenti, Massimo Giannoni... Per dirne solo alcuni, i primi che mi sovvengono, tra quelli più oggettivamente storicizzati. E senza aggiungere molti tra i più o meno “emergenti” che hanno dimostrato maggiore originalità e libera forza espressiva, da David De Biasio ad Enrico Robusti, da Marica Fasoli, Francesca Tulli, Roberta Crocioni (vedova del compianto, grande Leonardo Cremonini), Raffaele Minotto, Massimiliano Zaffino, Giuseppe Guindani, Nicola Samorì, Roberto Ferri, Alfio Giurato, Ettore Frani, Matteo Bergamasco, Gonzalo Orquin, Giuseppe Bombaci, Giovanni Gasparro, Verdiana Patacchini fino, in ordine sparso, a Ilaria Morganti, Davide Puma, Carlo Ferrari, Giulio Durini di Monza, Marco Martelli, Andrés David Carrara o Nicola Nannini. E l'elenco sarebbe altrimenti più fornito, anche solo restando nel novero di pittori che al tema della Natura Morta hanno dedicato non un'occasionale (e sospetta) digressione espressiva, ma autentici capitoli della propria opera.

E' vero: ogni qualvolta un curatore si trova a dover creare un evento espositivo incentrato su un genere o un tema, come appunto quello della Natura Morta, è inevitabile compiere delle scelte; scelte dalle quali scaturisce l'ideologia del curatore stesso. Ammesso che ve ne sia una.
Ma come si fa, soprattutto, e lo ripeto, in una mostra pubblica e dai fini altamente culturali a dimenticarsi anche solo alcuni fra i capisaldi della pittura iconica italiana e, nella fattispecie, della Natura Morta italiana d'oggi. Posso capire che capiti, com'è capitato, in uno spazio privato o galleria, dove i condizionamenti del mercato limitano molto la libertà d'azione del curatore.
Difficile è, come nel caso di Tortona, credere che la scelta di escludere pittori del calibro di Guccione o Vitali (due nomi a caso) sia nata da una precisa volontà. In questo caso l'aggettivo “stupido” è il più consono per definire tale decisione. Come troppo facile è pensare che si tratti di ignoranza pura e semplice. Forse si tratta più prosaicamente di (ben motivate) defezioni o di oggettiva difficoltà nel reperire le opere. In ogni caso risulta una mostra anche solo sulla carta estremamente parziale e lacunosa, ben lontana, e l'ho dimostrato, dall'essere la “la più rilevante esposizione pittorica di Natura Morta contemporanea mai realizzata in Italia, per numero e qualità degli artisti partecipanti”.
Semplicemente ridicolo.

Non intendo infierire sull'aspetto “internazionale”, evocato in virtù di due presenza sostanzialmente marginali e più legate all'abbondanza (anche e non solo commerciale) dell'offerta, aspetto inquietante, che non a scelte veramente di respiro continentale. Qui l'elenco sarebbe sterminato, ovviamente.

Ci sono due modi per mettere a tavola degli ospiti: il primo è nel servire loro quello che già c'è in casa o che si compra già fatto nella rosticceria all'angolo; il secondo passa attraverso scelte e lavoro, un menù, vini, portate decise e cucinate ad hoc ed in precedenza. In questo caso il pasto servito pare più di avanzi e cibi precotti che non un banchetto degno di definirsi tale.

Nel merito del plagio l'evidenza è sin troppo acclarata. Al di là del goffo assemblaggio di nomi, è nell'improvvisazione dei curatori che si evidenzia il dolo. Sarebbe come se qualcuno cercasse di spacciare un ponte a vele bianche come sua opera originale dopo Calatrava o una struttura in titanio dopo Frank O. Gehry. O la declamazione stentorea in teatro dopo Ronconi, il Don Giovanni dopo Mozart e così via.

Non me ne vogliano i volonterosi quanto goffi ed improvvisati curatori, ma il percorso creativo e scientifico di uno che vuole definirsi tale si basa soprattutto sul frutto delle loro scoperte e ricerche, sui risultati del loro lavoro, non su un'insieme poco originale e smaccatamente riciclato di “copia e incolla” dal lavoro altrui. Come nei casi citati in precedenza si corre il rischio di passare per ridicoli, se non per ladri.
O somari: “ve lo ricordate – scrive il mio amico Bruno Schiavoni da Bologna - da ragazzini il somaro della classe che sbirciava il vostro compito e copiava. Magari eravate voi il somaro, ma comunque, chiunque fosse, il somaro sfruttava la fatica altrui per scampare alla dannazione del compito e del voto. Oggi in nome della conoscenza quell'attività un po' fraudolenta è divenuta l'ideologia di troppi adulti. Si chiama copia, incolla e non citare. La questione forse è più complessa e proprio per questo spero che prima o poi se ne discuta seriamente”.
E noi siamo qui a discuterne.
Una volta per tutte quelle passate. Di certo non l'ultima per quelle a venire.

E' bello pensare di essere “curatori”. Difficile è l'esserlo.
Il resto appartiene al novero delle furbizie umane.
O delle “somarate” che dir si voglia.