domenica 5 dicembre 2010

Condanna definitiva per il critico Alessandro Riva.







È passata in giudicato la condanna a 6 anni e mezzo di reclusione per Alessandro Riva, il critico d’arte accusato di aver molestato cinque bambine minori di 10 anni. La pena era stata stabilita il 20 ottobre 2009 dai giudici della prima corte d’appello, che avevano ridotto la condanna a 9 anni inflitta in primo grado. Ora la Cassazione ha rigettato il ricorso contro la sentenza. 


Quindi la condanna per pedofilia a 6 anni di reclusione è stata confermata dalla Corte Suprema.

http://www.ilgiornale.it/milano/brevi/04-12-2010/articolo-id=491393-page=0-comments=1

domenica 28 novembre 2010

Alessandro Riva, confermata condanna a 6 anni



Riva, confermata condanna a 6 anni

Confermata in Cassazione la condanna a sei anni e mezzo di reclusione per violenza sessuale su minori per il critico d' arte Alessandro Riva. Riva, scrittore, giornalista e in passato collaboratore dell' assessorato alla cultura di Milano, era stato arrestato nel 2007 per aver molestato alcuni bambini. In primo grado era stato condannato a 9 anni.

domenica 21 novembre 2010

ENZO ROSSI ROISS, CHI È COSTUI? SMASCHERIAMOLO! Un sondaggio sul personaggio discusso, controverso e infaticabile. Uomo – Araba Fenice.


Riporto da:
http://vagarte.wordpress.com/2010/05/07/enzo-rossi-roiss-chi-e-costui-smascheriamolo/
http://kengaragsit.blogspot.com/2010/05/enzo-rossi-roiss-chi-e-costui.html

ENZO ROSSI ROISS, CHI È COSTUI? SMASCHERIAMOLO!

Un sondaggio sul personaggio discusso, controverso e infaticabile. Uomo – Araba Fenice.

di Kengarags

Enzo Rossi Roiss, all’anagrafe Vincenzo Antonio Rossi, nasce il 14 settembre 1937 a Novoli in provincia di Lecce in una famiglia numerosa. All’età di diciannove anni emigra al nord in cerca di fortuna e di una vita migliore.
Frequenta il corso di giornalismo ad Urbino. Nel 1959 comincia a firmarsi con il nome di Enzo Rossi Roiss collaborando con dedizione ad alcuni giornali, anche se minori o di servizio.
Nell’albo dei giornalisti, però, non abbiamo trovato di lui alcuna traccia.
Dopo alcuni anni si trasferisce a Bologna e tenta l’attività editoriale con alcune pubblicazioni sull’arte, anche di un certo interesse, poiché riesce a coinvolgere personaggi di rilievo.
Tale esperienza ha però una vita breve e sincopata, sia per le difficoltà di gestione economica, sia per le particolarità caratteriali del sig. Roiss, che costringono dopo un po’ le persone a prenderne le distanze.
Enzo Rossi Roiss, che si è sempre distinto per i suoi comportamenti asociali e per l’animo rissoso e vendicativo, è solito attaccare nelle sue invettive letterarie le persone che non lo tengono nella dovuta considerazione; egli ha infatti una decisa propensione narcisistica. E’ stato più volte denunciato e processato per diffamazione (la sua vittima più illustre è il professor Concetto Pozzati, l’artista ed ex Assessore alla Cultura del comune di Bologna) e per vilipendio alla religione, fatto del quale va molto fiero e che esibisce con orgoglio nelle sue pubblicazioni.
Per alcuni anni ha svolto l’attività di gallerista, riuscendo ad ottenere una certa qual credibilità nell’ambiente d’arte. Ha pure organizzato alcune mostre di artisti di valore, ma la sua carriera è stata compromessa da un grave inconveniente: è stato arrestato e ha scontato la pena di alcuni mesi in carcere. Lo stesso Roiss fornisce versioni alquanto improbabili e sempre diverse del motivo del suo arresto, ma a Bologna, negli ambienti legali, si vocifera che la vera causa sia stata il commercio di opere d’arte false.
Dopo aver assaporato tutti “i piaceri dalla galera” il nostro eroe non si abbatte, ma viceversa si impegna nella stesura della “Guida pratica per chi va in galera” che esce nel 1971 autoedito. Alcune pagine di questo prezioso libro sono dedicate alla “tecnica di evasione, alle norme per costituire un’associazione a delinquere, al sistema per viaggiare gratis sulle ferrovie dello stato”, come si può leggere nella prefazione.
La sua carriera di gallerista si è conclusa con un altro triste episodio: il sequestro della sua galleria, in via Portanova 12 a  Bologna, con pignoramento di tutto ciò che conteneva.
Correvano gli anni novanta…
Perché mai una galleria d’arte può essere sequestrata?  Forse per tasse mai pagate? O perché reclamata da un misterioso comproprietario? O forse ancora per debiti? Non lo sappiamo di certo, ma nei soliti ambienti legali bolognesi si vocifera che potrebbe essere a causa di tutti e tre questi fattori.
Enzo Rossi Roiss ha un’ottima considerazione di se e si dipinge colto. Noi vogliamo usare un termine diverso, definendolo molto informato e soprattutto assai scaltro: uomo dal comportamento camaleontico che sa rinascere come l’Araba Fenice.
Spesso si serve di altre persone per architettare le sue rappresaglie che pianifica con maniacale cura. Ama infatti definirsi come “il burattinaio”.
Spesso manipola fotografie, testi ed immagini. È impareggiabile nell’esaltare le proprie opere più insignificanti come nello sminuire il lavoro altrui.
Enzo Rossi Roiss è iperattivo ed è una delle poche persone anziane arrivata ad impadronirsi magistralmente dell’uso di Internet. Da alcuni anni infatti opera nella grande rete, cercando di costruirsi un’identità molto diversa da quella ben nota a Bologna.
È l’ideatore dell’Associazione Italobaltica, nel cui sito si legge: “Chi siano e quanti siano i soci dell’Italo-Baltica non lo riveliamo per rispettare la privacy”.
Ma la realtà è molto diversa: soci semplicemente non ce ne sono. Il nostro simpatico Enzo Rossi Roiss è l’unico associato. Tiene vivo il sito dell’Associazione riportando piccole notizie sui Paesi Baltici tratte da altre pubblicazioni e attaccando qualsiasi iniziativa intrapresa sul territorio italiano da parte di qualsivoglia persona che abbia fatto a meno di lui, ma soprattutto lo usa per decantar se stesso.
L’Associazione ha la sede in un monolocale in via Senzanome 2, a Bologna, dove in realtà il sig. Rossi risiede da single; ai visitatori, però, esibisce questo spazio presentandolo come un suo studio… e noi ammiriamo la sua inventiva nell’arte di arrangiarsi.
Enzo Rossi Roiss è reduce da due matrimoni naufragati. Abbiamo deciso di non approfondire questo tema per rispetto dei famigliari, ai quali esprimiamo tutta la nostra solidarietà.
Con la famiglia d’origine ha mantenuto un rapporto piuttosto distaccato: nelle sue autobiografie non indica quasi mai il luogo di nascita. Ritorna raramente in patria e non ha nemmeno partecipato ai funerali di sua madre; quel giorno infatti è stato visto aggirarsi per Artefiera a Bologna in compagnia di alcune giovani pulzelle vestite di magliette con stampato il titolo del suo ennesimo libro a contenuto erotico, appena pubblicato.
L’erotismo è stato sempre il suo tema prediletto. Si è cimentato nel comporre poesie, nello scrivere prosa, nel provocare le giovani donne su Facebook. Ma il suo vero capolavoro è la creazione del sito dedicato all’organo sessuale femminile www.vulvario.com, ovviamente sconsigliato ai minori. Di certo dobbiamo riconoscergli il coraggio di non preoccuparsi del senso del ridicolo.
Per le nostre ricerche su Enzo Rossi Roiss abbiamo provato ad accedere ai siti internet da lui pubblicati, ma li abbiamo spesso trovati oscurati in tutto o in parte a causa delle numerose violazioni denunciate.
Siamo riusciti, tuttavia, a risalire alla persona che in questo momento rappresenta il bersaglio prediletto del nostro sig. Roiss: la pittrice Lolita Timofeeva.
L’artista lettone vive in Italia dal 1991 e ha appena vinto causa legale da lei intentata all’editore “QuattroVenti “ per la pubblicazione non autorizzata di alcune sue opere e di una biografia falsa: tutto materiale fornito da Enzo Rossi Roiss.
Questa, d’altronde, è la seconda causa promossa dalla pittrice lettone per analoghe ragioni; la prima, contro l’editore di “Eurocarni”, si è risolta con una transazione a favore della Timofeeva.
Lolita, da noi interpellata, ha preferito non  commentare l’accaduto, ma ci ha inviato in alternativa l’immagine di un suo dipinto che pubblichiamo con piacere (con dovuta autorizzazione).
Cari lettori e cari bersagli del sig. Roiss,
siamo certi, con queste poche righe, di aver reso un prezioso e utile servizio alla collettività tutta. Dulcis in fundo, agli eventuali editori consigliamo di controllare con cura il materiale loro fornito da Enzo Rossi Roiss, onde evitare spiacevoli conseguenze.
Alle malcapitate vittime del sig. Roiss  e delle sue malsane attenzioni, consigliamo invece di non perdersi d’animo e soprattutto di non intraprendere mai eventuali azioni legali direttamente contro la persona dello stesso Enzo Rossi Roiss, in quanto trattasi di “pensionato nullatenente”, fatto che lui stesso esibisce per ostentare la propria impunità.
Invitiamo piuttosto tutti voi ad inviarci segnalazioni e commenti che possano aiutarci ad approfondire l’argomento (kengarags@fastwebnet.it).
E siate vigili: l’arzillo vecchietto può colpire ancora!

7 maggio 2010

giovedì 18 novembre 2010

COME SI E’ ARRIVATI A DEFINIRE LA GIUNTA DI GUASTALLA

Per conoscenza e completezza d’informazione, vi invio il contenuto di un comunicato diramato il giorno 15 novembre dal Marco Lusetti, ex vicesindaco di Guastalla ed oggi riportato sui quotidiani.


COME SI E’ ARRIVATI A DEFINIRE LA GIUNTA DI GUASTALLA

Il Comune di Guastalla fin dall’ inizio è stato escluso dalle trattative e dagli accordi elettorali provinciali Lega Nord–PDL, anche perché già a Maggio-Giugno 2008 avevamo definito il candidato sindaco ed iniziato la campagna elettorale, mentre per tutti gli altri Comuni erano necessari tempi più lunghi, in quanto si era concordato un rapporto di candidati a sindaco del 66% per il PDL e del 33% per la Lega Nord.

A Guastalla i due elementi fondanti dell’alleanza erano il candidato sindaco civico Giorgio Benaglia ed il suo vicesindaco ed assessore alla Sicurezza Marco LusettiInfatti tutti gli incontri pubblici della campagna elettorale sono stati condotti da noi due in primis, su questo modello comunicativo.

Durante la campagna elettorale tutti i componenti del comitato elettorale si sono spesi per la definizione del programma nel settore di loro competenza, arrivando a scrivere e concertare tutti insieme, il programma depositato agli atti, ma non si è mai parlato in campagna elettorale di possibili assessori, soprattutto per evitare fratture nel gruppo di lavoro.

All’ indomani della vittoria elettorale mi sono incontrato più volte con il sindaco Giorgio Benaglia, per cercare di definire la squadra di Giunta, senza troppo pensare agli equilibri di partito, ma all’ interesse della città. In queste giornate convulse Vincenzo Iafrate, indicato inizialmente come presidente del Consiglio Comunale, quasi in lacrime mi è venuto a trovare, per parlarmi e farmi capire che se non avesse avuto un ruolo da assessore si sarebbe dimesso anche dal Consiglio Comunale stesso, in quanto pensava di ”perdere la faccia” nel ruolo concordato durante la campagna elettorale; mi convinse e, con le pressioni anche di Giorgio Benaglia, concordammo di nominarlo assessore con delega alla Sicurezza.

All’ inizio il ruolo di assessore alla Cultura l’ho pensato per Alberto Agazzani, anche perché su Eugenio Bartoli erano fortissime le resistenze del sindaco Giorgio Benaglia e di Vincenzo Iafrate a causa del passato imprenditoriale di Bartoli.
Dopo che Alberto Agazzani declinò la mia richiesta feci pressioni sul sindaco Benaglia per far accettare Eugenio Bartoli alla Cultura.

Sugli altri nomi ci fu praticamente condivisione unanime, anche perchè Vincenzo Iafrate ponendo dubbi di opportunità sulla Caterina Amodeo aveva di fatto limitato a pochi nomi possibili la rosa tra cui scegliere.

Le deleghe le abbiamo decise tutti insieme nella sala della Giunta, con la consapevolezza che l’inesperienza della quasi totalità delle persone necessitava di un coordinamento degli assessorati.


Marco Lusetti
Guastalla lì, 15 Novembre 2010


Eugenio Bartoli
geniale assessore alla Cultuta
del Comune di Guastalla


lunedì 8 novembre 2010

Invito. "Less is More", Catania, 11 dicembre 2010

INVITO

Mauro Maugliani


Un corposo numero di artisti, italiani e stranieri, con un opera di piccolo formato. Si reitera l'appuntamento usuale con tale mostra che sarà inaugurata nei nuovi spazi di LIBRA ARTE CONTEMPORANEA in Catania Via Pola n. 11/c. Catalogo in galleria.

Artisti invitati: Alfarano, Guindani, Orquin Gomez, Negri, Maugliani, Ruffo, Pellegrini, Papetti, Adani, Jori, Avogadro, Virdi, Marsiglia, Minto, Palosuo, Di Marco, Vespasiani, Abbate, Bianchi, Vita, Keen. Montanari, Solmi, Iabo, Castelli, Cunsolo, Riva, Pasini, Balsamo, Damioli, Baricchi, Bombaci, Viola, Aguzzi, Bulzatti, Colombo, Dascanio, Forcella, Gasparro, Minotto, Coni, Madia, Martelli, Rubanu, Cinelli, Cannistrà, Floreani, Verrelli, Manfredini, Marzulli, Martinucci, Puma, Carriero, Ciracì, Folla, Coda Zabetta, Kostaby, Dossena, Sciacca, Grasso, Tulli, Busci, Trailina, Vadalà, Iudice, Collini, Rincicotti, Mirabella, Prol, Aubertin, Ferlito, Mazzucchelli, Zappettini, Cattaneo, Caputo, Luino, Guccione, Ferroni, Polizzi, Licata, Rampinelli, De Luigi, Le Parc, Ormenese, Garcia Rossi, Sobrino, Tornquist, Francis, Costalonga, Rotella, Mutolo, Brown, Maranca, Valenti, Koons, De Chirico, Diodato, Schifano, Gioielli.

giovedì 4 novembre 2010

Paul Beel. Apocatastasi

Capita a volte, ahinoi sempre più raramente nello sciocchezzaio dilagante nella nostra contemporaneità, che anche l’addetto ai lavori con l’occhio presuntuosamente più addestrato s’imbatta in un “qualcosa” che ne blocca l’attenzione, s’incidenti nel caso specifico con un’immagine, una, una sola fra le tante che quotidianamente gli assediano bombardano le retine, che lo induca a fermarsi ed a porsi il quesito più fondamentale ed elementare che esista: perché? Domanda che, in quel caso più che in altri, s’insinua e lavora, scava, logora… Fino a diventare ossessione: quell’immagine, o quelle immagini come nel caso di Paul Beel, hanno seminato un piacevole terrore e insinuato il dubbio sull’esistenza di un mistero la soluzione si rende più che mai necessaria.
Perché l’immagine apparentemente inquietante e tutt’altro che “facile” di uno dei tanti antieroi beeliani del nostro tempo risulta così irresistibile? Perché da quelle solitudini così lacerate e apparentemente inquietanti scaturisce un’irrefrenabile forza seduttiva? Cosa sta alla base di quell’evidente contraddizione?
Una risposta in termini assoluti non esiste. Eppure rimane ancora evidente il dato oggettivo di una contraddizione, di una pittura irresistibile nonostante la sua durezza, nonostante esteriormente non esprima alcun logico elemento di seduzione ad ogni costo. Esiste di certo, dunque, un’universalità di quel “mistero”, che contro ogni logica trasforma un’immagine nella trasfigurazione di se stessa.
E’ forse questo mistero quello che ormai meccanicamente chiamiamo “pittura”?
Paul Beel è un pittore isolato e solitario. Un uomo che rifugge le ribalte ed i convivi, che non si nutre di apparenza e superficie, ma che coltiva e difende spietatamente nel silenzio del suo sguardo la capacità del “vedere” oltre l’apparenza: il dono più fondamentale per un pittore. Beel vede oltre le forme e attraverso la pittura trascende la realtà. Quello che finalmente vediamo sulla tela dipinta non corrisponde a nulla di reale, di tangibile, si sensualmente scrutabile. La realtà si limita ad una forma, ma il gioco del realismo inizia e finisce lì. Attraverso la pittura Beel trascende la realtà, superandone il visibile, e la trasforma in Bellezza pura, creando uno spazio impossibile fra l’immagine e il suo spirito, fra inquietudine e Bellezza. Questo spazio, quel qualcosa che Picasso poneva fra la tela ed il colore, è nuovamente l’espressione più compiuta del “fare Pittura”, dal quale scaturisce fatalmente la seduzione di un mistero inafferrabile.
“Troppo vero!”. Con queste parole, quasi sdegnosamente, Papa Innocenzo X, quel Giovanni Battista Pamphilj considerato l’uomo più brutto e corrotto della cristianità, si rivolse a Diego Velázsquez dopo aver visto il ritratto che questi gli aveva dipinto. Quello che è considerato uno dei più importanti dipinti della storia dell’arte occidentale, se non addirittura il più grande ritratto mai realizzato, conserva in se quel “mistero” che rivive nella pittura di Paul Beel. Pur ritraendo, ed in maniera audacissima per il tempo, un personaggio sordido e corrotto, sfigurato esteriormente dalla scrofola e nell’anima dalla corruzione morale, Velázsquez realizza un dipinto dalla bellezza assoluta. La stessa bellezza che lo spagnolo, memore della lezione fondamentale del Merisi, ha saputo infondere nei suoi soggetti “bassi”, elevandoli attraverso la pittura ad autentici dei ed eroi del suo tempo (chi sono i santi caravaggeschi o gli dei dell’Olimpo velázsquiano se non poveri cristi raccattati per strada in cambio di un tozzo di pane ed un bicchiere di vino?). Forse è proprio in quel momento, quasi quattro secoli fa, che inizia a formarsi quell’utopia rivoluzionaria di un’arte che scaturisce dal basso (concetto che si realizzerà pienamente con i Lumi francesi, due secoli dopo Caravaggio).Si approda in questo momento alla presa di coscienza di un’immanenza divina che si estende a tutto il creato e che nega di fatto la convinzione fino a quel momento radicata di un’elitaria trascendenza: un inedito approccio alla realtà che riconosce ed infonde pari dignità tanto ai soggetti più aulici quanto a quelli più sordidi.
Beel, allo stesso modo, non può e non vuole raccontare altro mondo che non sia il suo, si nega altra realtà che non sia quella che quotidianamente egli incontra, vive, vede. E che attraverso la sua pittura acquista visibilità, espressione, voce, dignità.
A proposito di Beel si è spesso accostata la sua pittura a quella di Lucian Freud, sulla base di un’immediatezza che non risolve né fornisce soluzione ad mistero profondamente diverso. Fermarsi alla superficie di un dipinto, non interrogandosi sul suo mistero ed accontentandosi d’immediate corrispondenze, è un atteggiamento abusato nel nostro tempo e non privo di ragioni. Il pedissequo scimmiottare le altrui invenzioni, o ad esse ricondurre tutto, è una delle più terribili conseguenze dell’afasia contemporanea. In Beel la sua apparente vicinanza a Freud, di contro, è più da ricercare in una comune radice anglosassone, e più ancora in quella fedeltà verso la figura, ed il corpo in particolare, che rappresenta la caratteristica più consolidata dello stile nazionale americano, totalmente contrapposto al cubismo ed agli astrattismi derivati dell’antico continente. In più vi è un’inevitabile sorta d’ideale democratico, di spirito “pop” (non Pop in senso stretto si badi bene), la capacità tutta americana, non priva di colossali contraddizioni, di vedere oltre le barriere sociali di saper individuare il mistero del visibile anche nelle più apparentemente insignificanti immagini del quotidiano (Warhol docet).
In ragione di questo Beel è un pittore estremamente attento ad un mondo ai confini della società. I protagonisti “caravaggeschi” dei suoi dipinti non hanno grandezze da celebrare, non hanno nulla di straordinario in apparenza, non di rado nemmeno una bellezza eclatante che non sia il bagliore luminoso del loro sguardo, della loro anima. Beel non dipinge mai ritratti, non rinchiude in un’immagine un solo carattere, una sola storia, una sola inquietudine. Piuttosto egli coglie e rappresenta singole moltitudini, arrivando in fondo alle singole essenze e lì, tra oggetti senza dignità e storie senza storia, ritrovare la Bellezza dell’Uomo.

Avete mai osservato lo sguardo di Paul Beel? Siete mai stati in sua compagnia? Avreste sentito su di voi il peso di quello scrutare, il peso di quei silenzi attraverso i quali egli comunica. Egli non è un uomo che usa le parole per comunicare: è un pittore, un uomo d’immagini, di tele e colori, pennelli e tubetti. Paul Beel osserva e ascolta. Ma non si può essere pittori se non si vive. Beel vive la sua vita, la realtà del suo quotidiano proteso fra l’idealità divina della sua arte e la sensuale, corruttibile vulnerabilità della sua carne. Ecco perché la Bellezza dell’Uomo in lui si rivela attraverso le crepe di umanità apparentemente senza immagine, sotto corazze che, come la sua, nascondono, lo splendore apocatastico[1] dell’animo: la sua pittura tutto eleva e tutto redime perché alla fine anche l’inferno finirà e tutto tornerà all’idea originale.


Alberto Agazzani
Isola di Mykonos, settembre 2010


[1] Da Apocatastasi (greco: αποκατάστασις, apokatástasis) è un termine dai molteplici significati a seconda degli ambiti (principalmente religiosi e filosofici) in cui è usato. Letteralmente significa "ritorno allo stato originario", "reintegrazione". Nello stoicismo l'apocatastasi indica il "ristabilimento" dell'universo nel suo stato originario, e si collega alla dottrina dell'eterno ritorno: quando gli astri assumeranno la stessa posizione che avevano all'inizio dell'universo, avverrà una grande conflagrazione (ἐκπύρωσις, ecpirosi), e il tempo e il mondo ricominceranno un nuovo ciclo (πάλινγένεσις, palingenesi), ovvero "che nasce di nuovo". Secondo alcuni stoici tale ciclo sarà identico al precedente, secondo altri non necessariamente uguale. Nel neoplatonismo con apocatastasi si indica il ritorno dei singoli enti all'unità originaria, all'Uno indifferenziato da cui l'intera realtà proviene, un ritorno possibile tramite l'ascesi filosofica. Nel Cristianesimo, secondo Origene alla fine dei tempi avverrà la redenzione universale e tutte le creature saranno reintegrate nella pienezza del divino, compresi Satana e la morte: in tal senso, dunque, le pene infernali, per quanto lunghe, avrebbero un carattere non definitivo ma purificatorio. I dannati esistono, ma non per sempre, poiché il disegno salvifico non si può compiere se manca una sola creatura. (Wikipedia)


venerdì 24 settembre 2010

De-Riva

Sono da sempre, per educazione, cultura e formazione mentale, un garantista convinto. Per me è e rimane sacrosanto l'assunto secondo il quale ogni imputato è innocente fino a prova contraria, o sia fino all'espressione di una sentenza definitiva da parte della Cassazione, terzo ed ultimo grado di giudizio previsto dalla legislazione italiana.
C'è però un "però". Se la presunzione d'innocenza è totale e limpida in assenza di qualunque sentenza, essa si "opacizza", incrina e progressivamente si sospende davanti a sentenze di condanna, sopra tutto se esse sono emesse in secondo grado, l'ultimo che entra nel merito del fin lì presunto "reato", del "fatto" delittuoso sempre meno supposto. La cassazione, infatti, interviene solo in merito a questioni procedurali: eventuali errori, cavilli o scorrettezze intervenute nel corso del processo, ma non entra MAI nel merito del reato, che rimane conclamato. E' un po' come uno che viene assolto per prescrizione del reato: il reato (forse) rimane, ma l'imputato viene assolto per motivi altri dal giudizio della Corte.

Sinceramente non ho mai particolarmente stimato Alessandro Riva, trovando i suoi scritti superficiali e troppo "redazionali", troppo pubblicitari, cioè troppo asserviti al commercio ed alla promozione commerciale più smaccata di gallerie e artisti. Non a caso Riva è stato tra i più importanti redattori della famigerata e patinatissima rivista "Arte Mondadori", strumento usato, appunto, più per fini mercantili e di reclame che per sollevare altre e più alte questioni. Riva, poi ancora, è il teorico, sempre in un'onda di mercimoniosità assoluta, di quell'Italian Factory, gestita dalla bella e simpatica Simona Di Bello con il non altrettanto rassicurante Giuseppe Lezzi, che sotto l'immagine di un'importante valorizzazione dell'arte italiana in realtà nascondeva (e nasconde) una ferocissima macchina da guerra commerciale. Tutto lecito, tutto assolutamente legale, tutto comprensibile, s'intende, ma non per questo condivisibile. Sopra tutto dal sottoscritto, che ha un'idea "ideale" dell'arte, che non si è mai messo al servizio di nulla e nessuno che non condividesse un'idealità nell'arte, tanto meno del commercio più spietato. La prova più evidente sono le scelte della mia ventennale carriera critica, nelle quali non ho esitato un solo istante a rompere con gallerie e artisti passati improvvisamente dalla parte del dio danaro.
Non ostante la scarsa stima professionale, però, ho sempre mantenuto personalmente con Alessandro Riva un rapporto umanamente corretto e rispettoso, civilissimo com'è mio costume, fino ad arrivare a scrivergli un sentito e sincero biglietto di solidarietà e augurio l'indomani della sua incarcerazione per presunti abusi su bambine. E di totale solidarietà e difesa è stato il mio atteggiamento fino all'emissione della prima, pesantissima sentenza, che condannava Riva a nove anni e mezzo di reclusione. Ho cercato di capire, ancora incredulo e autenticamente dispiaciuto, quali fossero le motivazioni di tale condanna ed ho altresì cercato di capire gli argomenti opposti ad un'accusa così mostruosa, scoprendo che questi ultimi poggiavano su teoremi assai fragili (il malinteso, il gioco, il fraintendimento, ecc.) a fronte di deposizioni e testimonianze inoppugnabili da parte dei genitori e delle piccole vittime stesse (registrate e videoregistrate), intercettazioni (ambientali e telefoniche) ed altri elementi, per quello che ho letto, assolutamente schiaccianti (e agghiaccianti). A fronte di ciò ho sospeso ulteriormente il giudizio: se prima Alessandro Riva era per me innocente fino a prova contraria, ora lo appariva un po' meno, ma sempre ben lungi dall'assumere quella terribile sentenza come assoluta e definitiva.

Il secondo grado di giudizio, ossia l'ultimo che analizza il reato attraverso prove e testimonianze, ha confermato la condanna emessa in primo grado, alleggerendo la pena a sei anni e mezzo, comunque una condanna pesantissima.
E la sua presunzione d'innocenza in me si è ulteriormente assottigliata...

Non ho fede nella giustizia terrena. A me stesso è capitato, in circostanze nemmeno lontanamente paragonabili a quelle che hanno coinvolto Riva, di trovarmi coinvolto in questioni legali alle quali ero assolutamente estraneo e di rimettervi non poco denaro (se non altro per gli avvocati difensori). Addirittura sono stato condannato (in primo grado all'interno di un processo che sarebbe piaciuto molto a Franz Kafka) per aver brutalmente malmenato un povero vecchietto (a caccia di un cospicuo risarcimento economico, infatti subito reclamato!) con un matterello da cucina, circostanza talmente assurda da aver fatto sbellicare dalle risate non solo i giornalisti astanti, ma anche i miei migliori detrattori. E degna di un film di Totò e Peppino. Tuttavia sono perfettamente conscio che la mia presunzione d'innocenza davanti ad un presunto reato, ancorché ridicolo, si sia incrinata e comprendo tutti coloro che mi considerano un po' meno innocente ed un po' più pregiudicato! Io, anche se non con l'intento maliziosamente strumentale di qualche nemico, assumerei lo stesso atteggiamento.
Vedremo cosa stabiliranno i giudici dell'appello...

Tornando ad Alessandro Riva, dunque, la sua doppia condanna, che sottolineo essere stata emessa riguardo al reato e a null'altro, mi ha indotto ad una ulteriore sospensione del giudizio e ad una totale presa di distanza dal personaggio: se prima vi era solidarietà ora anche quella veniva sospesa in attesa del pronunciamento della Cassazione.
La presa di distanza mi ha portato ad evitare in questo momento d'essere in qualunque modo associato a quel nome; posizione questa che ho pubblicamente espresso in più occasioni, sempre auspicando per Riva un'assoluzione piena e limpida.

Quando, dopo la mostra veneziana dei presunti disegni di Francis Bacon, mi fu chiesto di presentarli insieme ad Alessandro Riva alla Fondazione Durini di Milano, il mio diniego fu netto ma cortese, motivandolo in quel modo. La prima volta avvenne ad ArteFiera alla presenza di Christian Maretti (legato ad Alessandro Riva da evidenti interessi, lecitissimi vivaddio, ma pur sempre tali) e consorte, di un suo collaboratore e di Cristiano Lovatelli Ravarino. Fu in quell'occasione che mi fu tutto chiaro, quando, per motivare l'improvviso coinvolgimento di Riva nell'affaire Bacon, Christian Maretti mi rivelò che il critico milanese, nipote di quel Valerio Riva al quale è intitolata una (si dice) potente fondazione a Venezia, gli serviva per poter mettere nuovamente le mani su Cà Zenobio degli Armeni, il palazzo lagunare nel quale il Maretti stesso organizza e dirige svariati, esotici (Arabia, Siria, ecc ecc) "padiglioni nazionali"; padiglioni esotici anche in termini di "stranezze", in quanto vi vengono ospitate mostre, come quella dei presunti disegni di Francis Bacon o un'altra dedicata a Concetto Pozzati con TeleMarket, oppure altre ancora di artisti che non hanno nulla a che fare coi paesi ufficialmente titolari di quegli spazi istituzionali.
Una cosa mi fu subitissimamente chiara nella poco limpidezza della vicenda globale: oltre che con Alessandro Riva, in attesa di pronunciamento di assoluzione definitivo, non avrei mai più voluto vedere il mio nome accostato o accostabile a quello di Christian Maretti e della sua poco chiara squadra.

Alla vigilia della bella mostra dei presunti disegni di Bacon all'altrettanto bella Fondazione Durini di Milano, evento organizzato da tal Sputnik Art facente capo a Silvia Fabbri, moglie di Alessandro Riva, il quotidiano "Il Giornale", quindi non proprio La Voce di Molfetta, pubblica un durissimo articolo contro Alessandro Riva, colpevole, a detta del Giornale, di atteggiamenti provocatori e comunque non consoni a quelli di un condannato in secondo grado a sei anni e mezzo di reclusione per pedofilia. E nello stesso si stigmatizzava il sindaco Moratti, politicamente coincidente col Giornale stesso, per aver coinvolto il critico e concesso il patrocinio ad un'iniziativa che vedeva lo protagonista. Inutile ricordare il putiferio successivo a quell'articolone; articolo che ho trovato giusto e corretto, condivisibile sia nella forma che nei contenuti.

In Italia si è perduto il senso del "buon senso", dell'opportunità. Tutto si pesa e misura solo col metro della legge, ma esistono azioni, atteggiamenti e comportamenti che, ancorchè non perseguibili legalmente, appaiono inopportuni, poco corretti, comunque biasimevoli. Fra questi vi è quello tenuto da Alessandro Riva, che incurante della pesantissima condanna che porta (ancora) sulle spalle si comporta come un uomo "libero", per di più permettendosi di sfidare e provocare il sacrosanto "comune senso del pudore". Anzichè attendere, serenamente si spera, la fine, positiva gli si augura nuovamente, della sua grave ed infamante vicenda in silenzio e ritiratamente, egli se ne continua a scorrazzare come se nulla fosse.
D'accordo il rispetto per i condannati, ma quello per le presunte vittime, in questo caso bambine con le loro famiglie, dove lo mettiamo? E dove mettiamo il rispetto per le sentenze, che, piacciano o no, sono pur sempre l'espressione della Legge terrena di uno Stato democratico?

Poche settimane dopo vengo a conoscenza, sempre dal solito Lovatelli Ravarino, che la solita mostra dei soliti presunti disegni di Bacon sarà ospitata a luglio (!!!) a Cento di Ferrara, presentata, oltre ad Edward Lucie Smith, Vittorio Sgarbi e Duccio Trombadori, sempre da Alessandro Riva e organizzata dal solito Christian Maretti (stavolta probabilmente per coinvolgere Vittorio Sgarbi, prossimo curatore del Padiglione Italia alla Biennale di Venezia e, guarda caso, probabilissimo sovrintendente in Laguna, nonchè Duccio Trombadori, membro, tra l'altro, del Consiglio di amministrazione della Quadriennale di Roma. Tutto per puro caso tendo a sottolineare). Per ragioni di puro e semplice buon senso (anche della giustizia), avendo ormai deciso e comunicato almeno sei mesi prima la mia irrevocabile INDISPONIBILITA' a partecipare ad iniziative che m'accostassero al Maretti ed al Riva, avviso di ciò tramite semplice e breve email il presidente federale della Lega Nord, nonchè segretario regionale dell'Emilia Romagna, l'amico Angelo Alessandri, informandolo, memore di ciò che era avvenuto a Milano col Giornale contro Letizia Moratti, sui rischi mediatici a cui andava incontro una giunta comunale retta anche dalla "sua" Lega Nord. Da Alessandri non ho avuto altro che un semplice e gentile messaggio di ringraziamento, non una parola o una richiesta di spiegazioni in più. Non so, dunque, nè se nè come abbia ritenuto opportuno agire presso i suoi delegati locali. E francamente m'interessa assai poco. Il mio dovere verso l'amico Alessandri l'ho fatto.

Ho poi saputo dello tzunami provocato in consiglio comunale dai leghisti e del clamoroso retromarcia dell'assennato sindaco di Cento, che ha rimosso Alessandro Riva da ogni iniziativa. In contemporanea vengo a conoscenza che un tal Biancardi, mi si dice assessore alla Cultura del Comune di Cento, và diffondendo la notizia (insinuando, per giunta, che avrei accusato di pedofilia il mio amico - da oltre vent'anni - Vittorio Sgarbi: non oso immaginare le grasse risate che si sarà fatto!) che alla base dello scandalo che lo ha travolto primariamente, essendo il naturale promotore dell'assunzione di Riva nel comune di cui è amministratore, vi sarebbero una serie di email anonime inviate "da un critico invidioso" (di che o cosa non appare ben chiaro, ma a questa illazione risponderò in seguito) "già condannato per lesioni ad un anziano" (con chiaro riferimento a me, come se, nel caso tale condanna di primo grado si rivelasse fondata, fosse assimilabile ad abusi sessuali su 5 bambine... Quando si dice che il bue dà del cornuto all'asino...). Felice di tanta attenzione e pubblicità non ho nemmeno vagamente pensato di querelate quel tal Biancardi (vi sarebbero stati tutti i presupposti per farlo): certe cose più le si mescolano e più emanano cattivo odore, diceva la mia vecchia e saggia nonna.

La realtà è molto più semplice: ho mandato una sola email firmata e sottoscritta, tempo impiegato non più di 3 minuti, ad una sola persona. Punto. Il resto sono solo invenzioni, calunnie, fantasie malevole di chi, evidentemenete, ha la coda di paglia! E che coda di paglia a giudicare dal fuoco e dal fumo!

Vero è che un'importante associazione antipedofilia ha lanciato una campagna, ormai da mesi e mesi, contro i comportamenti provocatori di Alessandro Riva ed altrettanto vero è che tale associazione ha mobilitato i suoi sostenitori contro l'iniziativa di Riva e Biancardi a Cento, invitando tutti a protestare con sindaco, giunta e organi di stampa locale. Ovvio e naturale, dunque, risulta che in molti abbiano protestato col signor sindaco di Cento e con il consiglio Comunale. Il Resto del Carlino di Ferrara, consultabile on-line, parlava, a proposito del putiferio scatenatosi in città e in Consiglio comunale, se non ricordo male, di centinaia di email di protesta pervenute al sindaco e di una vera e propria insurrezione popolare. Sacrosanta, aggiungo.
Credo verosimilmente che non poche di queste proteste via email potessero risultare anonime o pseudofirmate: io stesso avrei fatto lo stesso. Ma non per codardia o per altro, figurarsi!, ma semplicemente per cautela, conoscendo molto bene, per un'esperienza vissuta da una coppia di cari amici, a cosa si può andare incontro quando si denunciano determinate situazioni. A seguito del loro esposto in Procura, con il quale si denunciava un importante personaggio poi condannato ad una pesantissima reclusione, i miei due amici hanno vissuto anni nel terrore, perseguitati da minacce di morte fatte pervenire loro in ogni modo ed esercitando su di loro una pressione psicologica letteralmente terrificante. Bene hanno fatto, dunque, gli anonimi denunciatori che hanno scritto ai centesi di buon senso. Quando uno scopo è positivo il fine giustifica sempre i mezzi coi quali lo si raggiunge.

Tornando all'invidia di cui m'accusa, senza far nomi a proposito di codardia, il signor Biancardi da Cento: non è che egli, malevolmente, trasforma in un sentimento orrendo e che non m'appartiene il mio semplice buon senso e il mio amore per la giustizia?
Invidioso? E di cosa?
Mi sono spontaneamente chiamato fuori da qualunque iniziativa legata ai sedicenti disegni di Bacon e dai signori Riva, Maretti & Co. da mesi e mesi. E poi non sarei mai mai stato interessato a collaborare una mostra, qualunque essa fosse, organizzata con criteri autenticamente sadomasochistici e scellerati: in un luogo ameno ma sperduto come Cento di Ferrara ed in un periodo per di più, i primi di luglio, nel quale si toccano temperature da deserto del Sahara con un tasso d'umidità da foresta amazzonica. Biancardi, poi, evidentemente non era informato del fatto che proprio in quegli stessi giorni stavo completando l'allestimento e inaugurando, sotto la responsabilità totale, una grande mostra, programmata da un anno, nell'altrimenti ben più affollata Rimini (1.000 visitatori all'inaugurazione e quasi 15.000 complessivamente nel mese d'apertura. Lo scorso anno si erano raggiunti, nello stesso luogo ma con una mostra ben più "facile", i 28.000 visitatori in 30 giorni)...
Grazie a Dio, poi, ho una carriera invidiabile, senza macchie o ombre, costruita senza l'aiuto di nessuno e solo con tanto lavoro, tanto studio, tanta onestà, anche e non solo intellettuale e coraggio. E ,sopra tutto, posso vantarmi d'essere un uomo libero e perciò in grado di poter esprimere il suo pensiero, condivisibile o meno poco m'importa, senza condizionamenti, al di fuori di quei giochini di potere, interessi economici e altro che, di contro, legano lingua e cervello di tanti, troppi...
Invidia di che, dunque? Senso di giustizia, forse. Ma è un'altra cosa...

Ovviamente tale mia netta, chiara, lucida e determinata posizione mi ha creato non pochi nemici, a cominciare dallo sconosciuto signor Bianconi fino a qualche artista che ha vissuto come un attacco personale il mio pensiero. Comprendo l'amicale lealtà ed il debito di qualcuno verso il collega e ne rispetto massimamente la reazione, ma anche in questo caso mi dissocio. Poco male: anche perché si arriva ad un punto, spesso nella vita, nel quale è vitale tagliare rami secchi e, mi sia concesso, a quel punto certa gente è decisamente meglio perderla che trovarla.
Io alla mia Legge Morale ed al mio (presunto e personale) buon senso non rinuncio, per nulla e per nessuno.

Auguro di tutto cuore ad Alessandro Riva di uscire innocente e senza ombre dalla sua penosa vicenda. E se ciò avverrà sarò il primo ad urlare ai quattro venti la sua innocenza e a denunciare la sua persecuzione. E ad aiutarlo come potrò, come aiuterei qualunque essere umano ingiustamente perseguitato, a prescindere dalla stima o da altre considerazioni del tutto personali.





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giovedì 2 settembre 2010

L'inganno del reale

L’invenzione della camera ottica, diretta antenata del cinema e della fotografia, ha avuto un’influenza fondamentale nel modo di vedere e rappresentare la realtà, fino ad arrivare, nella nostra contemporaneità, a modificare radicalmente quel concetto di “metafisica” che per secoli ha sostenuto e alimentato l’anima della Pittura. A quale possibile “altrove” può condurre una rappresentazione pittorica del visibile così fedele da rasentare la rappresentazione fotografica? Quale metafisica è possibile da ciò?
Il fenomeno è tutt’altro che nuovo, così come ben noto è il percorso che dal XV secolo ad oggi ha portato al cosiddetto “iperrealismo”. E’ nei primi decenni del ‘400, infatti, che per la prima volta vengono utilizzati strumenti ottici per la realizzazione di tele dipinte. Improvvisamente, senza gradualità alcuna, si passò da una rappresentazione ideale della realtà, ancora saldamente ancorata a canoni medioevali, ad una fortemente realistica portatrice di nuovi valori e nuovi misteri. Aprendo la strada ad un modo di vedere il mondo fino ad allora inedito e destinato a cambiare in maniera determinante l’intera storia dell’arte. Si può in un qualche modo affermare che in quel momento nacque un nuovo concetto di metafisica, destinato, alla luce della nostra modernità, a sfociare nella più parossistica espressione pittorica immaginabile, talmente estrema e rivoluzionaria da modificare il concetto stesso di “pittura”.  Ritorniamo così alle domande che hanno aperto questo discorso: a quale possibile metafisica si riconduce quest’arte iperreale? Quali valori rivela e quali misteri crea una pittura nella quale tutto, anche se stessa, è rivelato con una verità stupefacente?
La risposta, complessa e tutt’altro che definitiva, a tratti anche apparentemente contraddittoria, può essere rintracciata nel nichilismo che domina la nostra epoca. Finite le ideologie, estinti ed esiliati dei ed eroi, sovvertiti i valori che per secoli avevano sostenuto la nostra cultura è un altro “altrove” quello a cui l’arte si deve necessariamente rivolgere. Chi non ha speranza si è rapidamente convertito all’orrore ed al gioco circense della provocazione a tutti i costi (non rendendosi conto della terribile gratuità e vetustà della scelta), mentre coloro che la speranza l’hanno forte e vivida, tanti pittori e scultori animati da un’incrollabile fede nella Bellezza e nei suoi valori, hanno coscientemente scelto la strada di un realismo esasperato, di un idealismo inedito, la via di una nuova metafisica, cinica ma appassionata, spesso glaciale ma sempre sorprendente, possibile ed impossibile nel contempo, fino ai limiti della prevedibile capacità umana (ed in totale opposizione allo storico concetto di “iperrealismo” americano). Un teatro della rappresentazione totalmente autoreferenziale, che indaga la Bellezza attraverso se stesso, e che, come in una messinscena barocca, si rivela per stupire, per abbacinare, per meravigliare, e lì, in quello scarto senza tempo dato dall’incontro con l’inatteso, insinuare il senso di un nuovo mistero, creare un’emozione senza nome che rapisce e incanta: nuove rivelazioni, nuovi misteri, una nuova metafisica del cinicamente autoreferenziale, portatrice di un nuovo, estremo, rivoluzionario concetto di “pittura”.
Effettivamente, riprendendo il filo di quanto già scritto in occasione di altre indagini sul fenomeno, il “Realismo”, inteso come una mera rappresentazione della realtà, in pittura non esiste. Né potrebbe esistere, essendo il dipingere essenzialmente, così come inteso nella sua secolare tradizione, un “fatto mentale”, per dirla con Leonardo, che partendo dalla realtà ci trasporta in una dimensione “altra”, (anche diversamente) metafisica per l’appunto, fuori da qualunque tempo e da qualunque spazio. La storia dell’arte tutta è un esempio di ciò. Dalle Veneri paleolitiche, la cui caricaturizzazione degli attributi sessuali era foriera di quel desiderio e di quel bisogno di fertilità ed abbondanza per loro vitali, fino ad oggi, ogni epoca della vicenda umana è stata caratterizzata da una visione della realtà figlia, insieme, di istinto e cultura e sempre lontana da un realismo meramente illustrativo. Non a caso l’immagine dipinta diventa, attraverso la pittura, segno-simbolo, icona portatrice di concetti e significati, mai la sterile rappresentazione di sé stessa. La storia della pittura, quindi la storia della rappresentazione, risulta perciò strettamente legata a quel fenomeno che oggi chiameremo “moda”, espressione e sintesi, in chiave più che mai contemporanea, di quei bisogni istintivi e di quegli ideali che stanno alla base di ogni creazione artistica. Si pensi solo a Piero della Francesca, a Michelangelo, allo stesso Caravaggio, a Rubens o a Picasso: in tutta la storia del mondo la realtà visibile è rimasta essenzialmente la medesima, con le sue forme e i suoi colori, ma la sua rappresentazione, sempre iconicamente riconoscibile, è cambiata, seguendo di volta in volta l’evolversi e il variare degli istinti e delle idee, in una parola seguendo i dettami della moda.

Diverso il discorso sull’Iperrealismo. Nato negli Stati Uniti nei primi anni ’60 del secolo scorso, in contrapposizione alla libertà stilistica totale dell’Action Painting e degli espressionisti astratti, l’Iperrealismo (definito come tale solo nel 1972 in occasione della sua “consacrazione” ufficiale a Kassel in occasione di Documenta 5), di contro, si pone come obiettivo l’annullamento del punto di vista del pittore nell’immagine dipinta. Se l’artista astratto distrugge l’icona per imporre la propria visione del mondo in maniera assolutistica, l’iperrealista si impone di rappresentarla con una precisione ed una fedeltà tali da trasfigurarla, da renderla più vera della verità sin nei suoi “inganni ottici” più complessi. E quindi ancora una volta in maniera non-realistica.
In Italia il fenomeno di questo realismo “cinico” (in quanto assolutamente autoreferenziale) ha assunto un’importanza capitale. Lontano dalla fredda e quasi meccanica ideologia dell’Iperrealismo “pop” americano, e contemporaneamente pregno della grande tradizione pittorica occidentale, l’”iperrealismo” italiano si è sviluppato con caratteri e peculiarità uniche. Non una pittura ancorata alla metafisica dell’”altrove”, ma anzi profondamente indagatrice di sé stessa, della propria anima, del proprio “dentro”, e come tale riferibile solo alla propria anima ed alla propria idea.
In Italia il concetto di “Realismo cinico” è inevitabilmente associato, almeno fino alla metà degli anni ’90 quando il suo linguaggio era ancora puramente pittorico, al nome di Luciano Ventrone. L’approccio del pittore alla realtà appariva, insieme, fra i più eccentrici e originali, italianissimo nel “calore del colore”, nel chiaro e costante riferimento al Barocco e nel suo essere scevro da quella componente “pop” così tipica in questo genere di pittura, soprattutto in quella di matrice statunitense.
Tra i pittori italiani più eccellenti che portano il concetto di mimes alle estreme conseguenze, con caratterizzazioni personalissime e altrettanto italiane, delineando un vero e proprio filone ancora largamente inesplorato, vi sono autentici fenomeni ormai internazionalmente riconosciuti come Roberto Bernardi, Giuseppe Carta, Alessandra Ariatti, Cristiano Pintaldi, Luigi Benedicenti ed Enrico Ghinato. Seguiti da altrettanto straordinari pittori in piena ascesa come Fabio Aguzzi, il disegnatore Andrea Boyer, Salvatore Mammoliti, Francesco Capello, Michele Taricco, Enrico Guarino, Enrico Ghinato via via fino alla generazione più vicina a noi, rappresentate da Daniela Montanari, Mauro Maugliani, Claudia Bianchi, Andrea Barin, Marzio Tamer e a giovanissimi emergenti carichi di talento come Marica Fasoli, David De Biasio, Paolo Tagliaferro, Emanuele Dascanio e Riccardo Negri, ultima generazione di iperrealisti doc.
Il trionfo della mimesis sull’invenzione continua…

(da "Art Dossier", settembre 2010, Giunti Editore)

mercoledì 25 agosto 2010

Exibart, l'arte, la democrazia e la frittata dello zio Peppo


Dal 2007 avevo un profilo su Exibart con relativo Blog, regolarmente pagato.


Dal 2007 pubblicavo (quasi) regolarmente post inerenti l'arte, la mia materia e quella di quel portale, ovviamente.

E che si fa su un Blog? Si scrive, si discute, ci si confronta. E, all'uopo, ci si difende. O si tenta di farlo.

In passato su quel portale sono state riportate notizie e commenti assai poco eleganti verso il sottoscritto. Nessuna novità: ci sono abituato. Ho segnalato la cosa, in un episodio che sconfinava nella calunnia, a Massimiliano Tonelli, direttore editoriale, che, con un'arroganza degna del nulla più nulla, mi ha risposto di non occuparsi di queste cose, accusandomi ridicolmente di tentare d'intimidirlo. Quando si dice coda di paglia...


Ne ho preso atto e ho rinunciato, disgustato.


Mai, tranne un caso (una mostra di Alberto Sughi a Roma, credo pagato come redazionale dalla galleria), Exibart si è interessato ad una delle molte mostre che ho curato in questi anni. Poco male: il successo si misura in altre maniere ed evidentemente quel portale non pare così determinante.

Già in quell'occasione assai spiacevole avevo pensato di cancellare il mio profilo su Exibart e di non rinnovare, ovviamente, l'abbonamento (tanto più che non leggo notoriamente riviste d'arte e quella edita da quel portale è ingombrantissima e, prima di intasare il primo bidone utile, ancora intonsa, intasa la mia casella postale).


In occasione del delirante bombardamento da parte di tale Enzo Rossi Roiss, che ha riempito blog su blog (tutti da lui inventati e gestiti) di notizie distorte e malevole, ho pensato di rendere partecipi i miei 3 lettori di Exibart alla vicenda e di pubblicare quello che pubblico, con seguito maggiore, su FaceBook. Assolutamente nulla di vagamente illegale, come potete constatare qui nei post precedenti, ma una serie di chiarimenti che smentiscono in maniera inequivocabile tal Rossi Roiss.

Su richiesta di detto individuo il mio post relativo le sue dichiarazioni è stato rimosso, senza preavviso al sottoscritto. Una volta postato nuovamente è stato nuovamente rimosso.

Ad una mia richiesta di chiarimenti al direttore responsabile di Exibart, tal Giovanni Sighele, egli mi risponde nel seguente modo:


gentile sig Agazzani

Ho levato nuovamente il post dal suo blog perchè fuori tema. Non è questo il luogo dove difendersi da 'notizie deliranti lasciate su altri blog'. I blog su exibart devono essere allineati alla linea editoriale della testata e non sono luogo ove dirimere fatti personali. la prego dunque di non insistere, saprà sicuramente trovare spazi più opportuni.

ringraziandola

Giovanni Sighele


Fuori tema? Si parlava della vicenda che riguarda i sedicenti disegni di Francis Bacon, non di mio zio Peppo e della sua ricetta della frittata con la cipolla...


I blog su exibart devono essere allineati alla linea editoriale della testata: ossia bisogna scrivere quello che pare a loro??


Fatti personali? Veramente si parlava nel merito di una vicenda tutt'altro che personale, ma che riguarda decine di migliaia di persone, almeno tante quanto quelle che hanno visitato la mostra dei sedicenti disegni di Francis Bacon a Venezia.


Ho così, finalmente, deciso di cancellare il mio profilo su Exibart, rimproverandomi di non averlo fatto prima!

Anche perchè se i criteri coi quali selezionano, commentano e pubblicano le notizie, o sia la famigerata linea editoriale della testata, è questa, così corretta e democratica, è decisamente meglio perderli che trovarli.


Mi continuerete a leggere qui e su Equlibriarte, dove, almeno fino ad ora, la democrazia non è un'opinione!

Deliri estivi di uno sconosciuto ed altri squallori


Un tal Enzo Rossi Roiss (per capire di chi si sta parlando consiglio vivamente di consultare il suo suggestivo curriculum a: http://vagarte.wordpress.com/2010/05/07/enzo-rossi-roiss-chi-e-costui-smascheriamolo/ ), che non ho mai conosciuto e della cui esistenza in terra ho appreso solo in tempi recenti, continua ossessivamente e compulsivamente ad inviare e pubblicare notizie riguardo al sottoscritto che, nella migliore delle ipotesi, rappresentano solo una distorta e malevola interpretazione della realtà.


Il sottoscritto, critico d'arte e curatore professionista (con tanto di Partita Iva, per i più pignoli) da quasi vent'anni il curriculum è a disposizione), ha prestato il proprio contributo in maniera del tutto volontaria in occasione della mostra veneziana dei sedicenti disegni di Francis Bacon, esprimendo nel suo saggio in catalogo, nel novero di un'indagine storica tutta in divenire, non poche perplessità; perplessità ovviamente non condivise dai poco limpidi organizzatori e che hanno trovato alimento ulteriore con le iniziative successive messe in atto da Cristiano Lovatelli-Ravarino in sintonia con l'editore Christian Maretti e l'avvocato Umberto Guerini. Iniziative dilettantesche, affrettate ed improvvisate, tutt'altro che degne di un grande maestro del Novecento, che in alcun modo interessavano ed interessano il sottoscritto, che, di fatto, ha negato qualunque ulteriore coinvolgimento, chiudendo da tempo, definitivamente e chiaramente, qualsiasi rapporto con suddetti personaggi.


Il signor Rossi-Roiss, che continuo a ribadire di non aver mai conosciuto in questa vita, si è permesso in maniera arbitraria e scorretta (al pari, invero, del suo sostanziale omologo Cristiano Lovatelli Ravarino), nel disperato tentativo di portare acqua al suo mulino impazzito e di gettare fango su persone e professionisti perbene, di diffondere i contenuti di comunicazioni personali, atte solo ad alimentare la mia ricerca di verità e il mio personale studio di quei disegni. Nel far ciò si permette di manifestare nei miei confronti osservazioni del tutto deliranti, in quanto, a differenza sua, il mio curriculum professionale è conclamato da vent'anni di d'attività, con centinaia di mostre realizzate in tutto il mondo e oltre cento pubblicazioni, all'interno delle quali l'episodio veneziano dei disegni di Bacon appare assai risibile e occasionale.


Non ho mai inteso, dunque, nè inventarmi nè spacciarmi per baconologo tout-court, come asserisce il signor Rossi Roiss, essendo notoriamente il mio precipuo interesse e la mia attività indirizzate principalmente verso l'arte contemporanea e non la storia dell'arte (antica, moderna e contemporanea) propriamente detta. Ciò non toglie che l'incessante studio e approfondimento della storia dell'arte rimangano la base imprescindibile del mio mestiere ed in quest'ottica va inteso il mio interesse anche verso la vicenda intrigante dei sedicenti disegni bolognesi di Francis Bacon.


I (risibili, mi sia concesso, e comunque chiaramente non commensurabili ad una mia parcella professionale adeguata) doni, natalizi e non, ricevuti spontaneamente da Cristiano Lovatelli Ravarino, che lui poco elegantemente e inopportunamente ha avuto il pessimo gusto di elencare, rinfacciandoli di fatto (rivelando la vera natura della sua interessata ed ostentata amicizia nei miei confronti), in un suo delirante scritto ripreso altrettanto follemente dal Rossi Roiss in uno dei suoi tanti blog, sono stati evidentemente provocati da un suo ingiustificato quanto immotivato e mai alimentato senso di riconoscenza (o di colpa?) verso la mia persona, all’interno di un rapporto personale (ovviamente non intimo, preciso per i pruriginosi) in alcun modo riconducibile alla mia esperienza veneziana.


Il signor Rossi-Roiss dimostra una scorretezza, un livore, un accanimento ed una pervicacia contro il Lovatelli Ravarino e i suoi disegni assolutamente sospetti (pare ne fosse un gran sostenitore quando ne partecipava ai guadagni delle vendite); malevolenza che si manifesta nell'ossessiva diffusione di informazioni parziali e nuovamente malevole (coinvolgendo persone largamente estranee all'oggetto della sua livorosa guerra personale e guardandosi bene dal pubblicare le repliche ricevute, al pari, ad onor del vero, del suo compare Lovatelli-Ravarino) che poco o nulla hanno a che fare con quella serenità e quella lucidità che ritengo assolutamente fondamentali per la seria, rigorosa e corretta conduzione di qualunque indagine doverosamente equilibrata.


Questo tanto per chiarire.


PS A riprova della maldicente falsità delle affermazioni dell'arzillo Rossi Roiss ricordo che nel giugno del 2009 mi è stata chiesta la disponibilità ad occupare la poltrona di assessore alla Cultura del Comune di Guastalla da parte di Marco Lusetti, futuro vicesindaco, in quota Lega Nord (nella lista della quale sono stato candidato come INDIPENDENTE - ero membro dell'esecutivo del Dipartimento Cultura del PdL Lombardia al tempo - ed ELETTO, terzo per preferenze (dopo il segretario provinciale della Lega Nord ed il capolista della lista civica CambiaRE di cui faccio parte), consigliere della Città Storica a Reggio Emilia, incarico per il quale mi ero appunto precipuamente candidato); disponibilità che ho cortesemente negata, non ritenendomi in grado di ricoprire detto incarico politico/amministrativo nè tantomeno interessato a svolgere attività ulteriori e diverse da quella che già svolgo.

Anche su questo argomento il signor Rossi Roiss ha distorto malevolmente l'evidente e pubblica realtà dei fatti.



(Immagine: Lolita Timofeeva, Un Rossi che sognava di diventare una Rolls Roiss, s.d., olio su tela)