venerdì 24 settembre 2010

De-Riva

Sono da sempre, per educazione, cultura e formazione mentale, un garantista convinto. Per me è e rimane sacrosanto l'assunto secondo il quale ogni imputato è innocente fino a prova contraria, o sia fino all'espressione di una sentenza definitiva da parte della Cassazione, terzo ed ultimo grado di giudizio previsto dalla legislazione italiana.
C'è però un "però". Se la presunzione d'innocenza è totale e limpida in assenza di qualunque sentenza, essa si "opacizza", incrina e progressivamente si sospende davanti a sentenze di condanna, sopra tutto se esse sono emesse in secondo grado, l'ultimo che entra nel merito del fin lì presunto "reato", del "fatto" delittuoso sempre meno supposto. La cassazione, infatti, interviene solo in merito a questioni procedurali: eventuali errori, cavilli o scorrettezze intervenute nel corso del processo, ma non entra MAI nel merito del reato, che rimane conclamato. E' un po' come uno che viene assolto per prescrizione del reato: il reato (forse) rimane, ma l'imputato viene assolto per motivi altri dal giudizio della Corte.

Sinceramente non ho mai particolarmente stimato Alessandro Riva, trovando i suoi scritti superficiali e troppo "redazionali", troppo pubblicitari, cioè troppo asserviti al commercio ed alla promozione commerciale più smaccata di gallerie e artisti. Non a caso Riva è stato tra i più importanti redattori della famigerata e patinatissima rivista "Arte Mondadori", strumento usato, appunto, più per fini mercantili e di reclame che per sollevare altre e più alte questioni. Riva, poi ancora, è il teorico, sempre in un'onda di mercimoniosità assoluta, di quell'Italian Factory, gestita dalla bella e simpatica Simona Di Bello con il non altrettanto rassicurante Giuseppe Lezzi, che sotto l'immagine di un'importante valorizzazione dell'arte italiana in realtà nascondeva (e nasconde) una ferocissima macchina da guerra commerciale. Tutto lecito, tutto assolutamente legale, tutto comprensibile, s'intende, ma non per questo condivisibile. Sopra tutto dal sottoscritto, che ha un'idea "ideale" dell'arte, che non si è mai messo al servizio di nulla e nessuno che non condividesse un'idealità nell'arte, tanto meno del commercio più spietato. La prova più evidente sono le scelte della mia ventennale carriera critica, nelle quali non ho esitato un solo istante a rompere con gallerie e artisti passati improvvisamente dalla parte del dio danaro.
Non ostante la scarsa stima professionale, però, ho sempre mantenuto personalmente con Alessandro Riva un rapporto umanamente corretto e rispettoso, civilissimo com'è mio costume, fino ad arrivare a scrivergli un sentito e sincero biglietto di solidarietà e augurio l'indomani della sua incarcerazione per presunti abusi su bambine. E di totale solidarietà e difesa è stato il mio atteggiamento fino all'emissione della prima, pesantissima sentenza, che condannava Riva a nove anni e mezzo di reclusione. Ho cercato di capire, ancora incredulo e autenticamente dispiaciuto, quali fossero le motivazioni di tale condanna ed ho altresì cercato di capire gli argomenti opposti ad un'accusa così mostruosa, scoprendo che questi ultimi poggiavano su teoremi assai fragili (il malinteso, il gioco, il fraintendimento, ecc.) a fronte di deposizioni e testimonianze inoppugnabili da parte dei genitori e delle piccole vittime stesse (registrate e videoregistrate), intercettazioni (ambientali e telefoniche) ed altri elementi, per quello che ho letto, assolutamente schiaccianti (e agghiaccianti). A fronte di ciò ho sospeso ulteriormente il giudizio: se prima Alessandro Riva era per me innocente fino a prova contraria, ora lo appariva un po' meno, ma sempre ben lungi dall'assumere quella terribile sentenza come assoluta e definitiva.

Il secondo grado di giudizio, ossia l'ultimo che analizza il reato attraverso prove e testimonianze, ha confermato la condanna emessa in primo grado, alleggerendo la pena a sei anni e mezzo, comunque una condanna pesantissima.
E la sua presunzione d'innocenza in me si è ulteriormente assottigliata...

Non ho fede nella giustizia terrena. A me stesso è capitato, in circostanze nemmeno lontanamente paragonabili a quelle che hanno coinvolto Riva, di trovarmi coinvolto in questioni legali alle quali ero assolutamente estraneo e di rimettervi non poco denaro (se non altro per gli avvocati difensori). Addirittura sono stato condannato (in primo grado all'interno di un processo che sarebbe piaciuto molto a Franz Kafka) per aver brutalmente malmenato un povero vecchietto (a caccia di un cospicuo risarcimento economico, infatti subito reclamato!) con un matterello da cucina, circostanza talmente assurda da aver fatto sbellicare dalle risate non solo i giornalisti astanti, ma anche i miei migliori detrattori. E degna di un film di Totò e Peppino. Tuttavia sono perfettamente conscio che la mia presunzione d'innocenza davanti ad un presunto reato, ancorché ridicolo, si sia incrinata e comprendo tutti coloro che mi considerano un po' meno innocente ed un po' più pregiudicato! Io, anche se non con l'intento maliziosamente strumentale di qualche nemico, assumerei lo stesso atteggiamento.
Vedremo cosa stabiliranno i giudici dell'appello...

Tornando ad Alessandro Riva, dunque, la sua doppia condanna, che sottolineo essere stata emessa riguardo al reato e a null'altro, mi ha indotto ad una ulteriore sospensione del giudizio e ad una totale presa di distanza dal personaggio: se prima vi era solidarietà ora anche quella veniva sospesa in attesa del pronunciamento della Cassazione.
La presa di distanza mi ha portato ad evitare in questo momento d'essere in qualunque modo associato a quel nome; posizione questa che ho pubblicamente espresso in più occasioni, sempre auspicando per Riva un'assoluzione piena e limpida.

Quando, dopo la mostra veneziana dei presunti disegni di Francis Bacon, mi fu chiesto di presentarli insieme ad Alessandro Riva alla Fondazione Durini di Milano, il mio diniego fu netto ma cortese, motivandolo in quel modo. La prima volta avvenne ad ArteFiera alla presenza di Christian Maretti (legato ad Alessandro Riva da evidenti interessi, lecitissimi vivaddio, ma pur sempre tali) e consorte, di un suo collaboratore e di Cristiano Lovatelli Ravarino. Fu in quell'occasione che mi fu tutto chiaro, quando, per motivare l'improvviso coinvolgimento di Riva nell'affaire Bacon, Christian Maretti mi rivelò che il critico milanese, nipote di quel Valerio Riva al quale è intitolata una (si dice) potente fondazione a Venezia, gli serviva per poter mettere nuovamente le mani su Cà Zenobio degli Armeni, il palazzo lagunare nel quale il Maretti stesso organizza e dirige svariati, esotici (Arabia, Siria, ecc ecc) "padiglioni nazionali"; padiglioni esotici anche in termini di "stranezze", in quanto vi vengono ospitate mostre, come quella dei presunti disegni di Francis Bacon o un'altra dedicata a Concetto Pozzati con TeleMarket, oppure altre ancora di artisti che non hanno nulla a che fare coi paesi ufficialmente titolari di quegli spazi istituzionali.
Una cosa mi fu subitissimamente chiara nella poco limpidezza della vicenda globale: oltre che con Alessandro Riva, in attesa di pronunciamento di assoluzione definitivo, non avrei mai più voluto vedere il mio nome accostato o accostabile a quello di Christian Maretti e della sua poco chiara squadra.

Alla vigilia della bella mostra dei presunti disegni di Bacon all'altrettanto bella Fondazione Durini di Milano, evento organizzato da tal Sputnik Art facente capo a Silvia Fabbri, moglie di Alessandro Riva, il quotidiano "Il Giornale", quindi non proprio La Voce di Molfetta, pubblica un durissimo articolo contro Alessandro Riva, colpevole, a detta del Giornale, di atteggiamenti provocatori e comunque non consoni a quelli di un condannato in secondo grado a sei anni e mezzo di reclusione per pedofilia. E nello stesso si stigmatizzava il sindaco Moratti, politicamente coincidente col Giornale stesso, per aver coinvolto il critico e concesso il patrocinio ad un'iniziativa che vedeva lo protagonista. Inutile ricordare il putiferio successivo a quell'articolone; articolo che ho trovato giusto e corretto, condivisibile sia nella forma che nei contenuti.

In Italia si è perduto il senso del "buon senso", dell'opportunità. Tutto si pesa e misura solo col metro della legge, ma esistono azioni, atteggiamenti e comportamenti che, ancorchè non perseguibili legalmente, appaiono inopportuni, poco corretti, comunque biasimevoli. Fra questi vi è quello tenuto da Alessandro Riva, che incurante della pesantissima condanna che porta (ancora) sulle spalle si comporta come un uomo "libero", per di più permettendosi di sfidare e provocare il sacrosanto "comune senso del pudore". Anzichè attendere, serenamente si spera, la fine, positiva gli si augura nuovamente, della sua grave ed infamante vicenda in silenzio e ritiratamente, egli se ne continua a scorrazzare come se nulla fosse.
D'accordo il rispetto per i condannati, ma quello per le presunte vittime, in questo caso bambine con le loro famiglie, dove lo mettiamo? E dove mettiamo il rispetto per le sentenze, che, piacciano o no, sono pur sempre l'espressione della Legge terrena di uno Stato democratico?

Poche settimane dopo vengo a conoscenza, sempre dal solito Lovatelli Ravarino, che la solita mostra dei soliti presunti disegni di Bacon sarà ospitata a luglio (!!!) a Cento di Ferrara, presentata, oltre ad Edward Lucie Smith, Vittorio Sgarbi e Duccio Trombadori, sempre da Alessandro Riva e organizzata dal solito Christian Maretti (stavolta probabilmente per coinvolgere Vittorio Sgarbi, prossimo curatore del Padiglione Italia alla Biennale di Venezia e, guarda caso, probabilissimo sovrintendente in Laguna, nonchè Duccio Trombadori, membro, tra l'altro, del Consiglio di amministrazione della Quadriennale di Roma. Tutto per puro caso tendo a sottolineare). Per ragioni di puro e semplice buon senso (anche della giustizia), avendo ormai deciso e comunicato almeno sei mesi prima la mia irrevocabile INDISPONIBILITA' a partecipare ad iniziative che m'accostassero al Maretti ed al Riva, avviso di ciò tramite semplice e breve email il presidente federale della Lega Nord, nonchè segretario regionale dell'Emilia Romagna, l'amico Angelo Alessandri, informandolo, memore di ciò che era avvenuto a Milano col Giornale contro Letizia Moratti, sui rischi mediatici a cui andava incontro una giunta comunale retta anche dalla "sua" Lega Nord. Da Alessandri non ho avuto altro che un semplice e gentile messaggio di ringraziamento, non una parola o una richiesta di spiegazioni in più. Non so, dunque, nè se nè come abbia ritenuto opportuno agire presso i suoi delegati locali. E francamente m'interessa assai poco. Il mio dovere verso l'amico Alessandri l'ho fatto.

Ho poi saputo dello tzunami provocato in consiglio comunale dai leghisti e del clamoroso retromarcia dell'assennato sindaco di Cento, che ha rimosso Alessandro Riva da ogni iniziativa. In contemporanea vengo a conoscenza che un tal Biancardi, mi si dice assessore alla Cultura del Comune di Cento, và diffondendo la notizia (insinuando, per giunta, che avrei accusato di pedofilia il mio amico - da oltre vent'anni - Vittorio Sgarbi: non oso immaginare le grasse risate che si sarà fatto!) che alla base dello scandalo che lo ha travolto primariamente, essendo il naturale promotore dell'assunzione di Riva nel comune di cui è amministratore, vi sarebbero una serie di email anonime inviate "da un critico invidioso" (di che o cosa non appare ben chiaro, ma a questa illazione risponderò in seguito) "già condannato per lesioni ad un anziano" (con chiaro riferimento a me, come se, nel caso tale condanna di primo grado si rivelasse fondata, fosse assimilabile ad abusi sessuali su 5 bambine... Quando si dice che il bue dà del cornuto all'asino...). Felice di tanta attenzione e pubblicità non ho nemmeno vagamente pensato di querelate quel tal Biancardi (vi sarebbero stati tutti i presupposti per farlo): certe cose più le si mescolano e più emanano cattivo odore, diceva la mia vecchia e saggia nonna.

La realtà è molto più semplice: ho mandato una sola email firmata e sottoscritta, tempo impiegato non più di 3 minuti, ad una sola persona. Punto. Il resto sono solo invenzioni, calunnie, fantasie malevole di chi, evidentemenete, ha la coda di paglia! E che coda di paglia a giudicare dal fuoco e dal fumo!

Vero è che un'importante associazione antipedofilia ha lanciato una campagna, ormai da mesi e mesi, contro i comportamenti provocatori di Alessandro Riva ed altrettanto vero è che tale associazione ha mobilitato i suoi sostenitori contro l'iniziativa di Riva e Biancardi a Cento, invitando tutti a protestare con sindaco, giunta e organi di stampa locale. Ovvio e naturale, dunque, risulta che in molti abbiano protestato col signor sindaco di Cento e con il consiglio Comunale. Il Resto del Carlino di Ferrara, consultabile on-line, parlava, a proposito del putiferio scatenatosi in città e in Consiglio comunale, se non ricordo male, di centinaia di email di protesta pervenute al sindaco e di una vera e propria insurrezione popolare. Sacrosanta, aggiungo.
Credo verosimilmente che non poche di queste proteste via email potessero risultare anonime o pseudofirmate: io stesso avrei fatto lo stesso. Ma non per codardia o per altro, figurarsi!, ma semplicemente per cautela, conoscendo molto bene, per un'esperienza vissuta da una coppia di cari amici, a cosa si può andare incontro quando si denunciano determinate situazioni. A seguito del loro esposto in Procura, con il quale si denunciava un importante personaggio poi condannato ad una pesantissima reclusione, i miei due amici hanno vissuto anni nel terrore, perseguitati da minacce di morte fatte pervenire loro in ogni modo ed esercitando su di loro una pressione psicologica letteralmente terrificante. Bene hanno fatto, dunque, gli anonimi denunciatori che hanno scritto ai centesi di buon senso. Quando uno scopo è positivo il fine giustifica sempre i mezzi coi quali lo si raggiunge.

Tornando all'invidia di cui m'accusa, senza far nomi a proposito di codardia, il signor Biancardi da Cento: non è che egli, malevolmente, trasforma in un sentimento orrendo e che non m'appartiene il mio semplice buon senso e il mio amore per la giustizia?
Invidioso? E di cosa?
Mi sono spontaneamente chiamato fuori da qualunque iniziativa legata ai sedicenti disegni di Bacon e dai signori Riva, Maretti & Co. da mesi e mesi. E poi non sarei mai mai stato interessato a collaborare una mostra, qualunque essa fosse, organizzata con criteri autenticamente sadomasochistici e scellerati: in un luogo ameno ma sperduto come Cento di Ferrara ed in un periodo per di più, i primi di luglio, nel quale si toccano temperature da deserto del Sahara con un tasso d'umidità da foresta amazzonica. Biancardi, poi, evidentemente non era informato del fatto che proprio in quegli stessi giorni stavo completando l'allestimento e inaugurando, sotto la responsabilità totale, una grande mostra, programmata da un anno, nell'altrimenti ben più affollata Rimini (1.000 visitatori all'inaugurazione e quasi 15.000 complessivamente nel mese d'apertura. Lo scorso anno si erano raggiunti, nello stesso luogo ma con una mostra ben più "facile", i 28.000 visitatori in 30 giorni)...
Grazie a Dio, poi, ho una carriera invidiabile, senza macchie o ombre, costruita senza l'aiuto di nessuno e solo con tanto lavoro, tanto studio, tanta onestà, anche e non solo intellettuale e coraggio. E ,sopra tutto, posso vantarmi d'essere un uomo libero e perciò in grado di poter esprimere il suo pensiero, condivisibile o meno poco m'importa, senza condizionamenti, al di fuori di quei giochini di potere, interessi economici e altro che, di contro, legano lingua e cervello di tanti, troppi...
Invidia di che, dunque? Senso di giustizia, forse. Ma è un'altra cosa...

Ovviamente tale mia netta, chiara, lucida e determinata posizione mi ha creato non pochi nemici, a cominciare dallo sconosciuto signor Bianconi fino a qualche artista che ha vissuto come un attacco personale il mio pensiero. Comprendo l'amicale lealtà ed il debito di qualcuno verso il collega e ne rispetto massimamente la reazione, ma anche in questo caso mi dissocio. Poco male: anche perché si arriva ad un punto, spesso nella vita, nel quale è vitale tagliare rami secchi e, mi sia concesso, a quel punto certa gente è decisamente meglio perderla che trovarla.
Io alla mia Legge Morale ed al mio (presunto e personale) buon senso non rinuncio, per nulla e per nessuno.

Auguro di tutto cuore ad Alessandro Riva di uscire innocente e senza ombre dalla sua penosa vicenda. E se ciò avverrà sarò il primo ad urlare ai quattro venti la sua innocenza e a denunciare la sua persecuzione. E ad aiutarlo come potrò, come aiuterei qualunque essere umano ingiustamente perseguitato, a prescindere dalla stima o da altre considerazioni del tutto personali.





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giovedì 2 settembre 2010

L'inganno del reale

L’invenzione della camera ottica, diretta antenata del cinema e della fotografia, ha avuto un’influenza fondamentale nel modo di vedere e rappresentare la realtà, fino ad arrivare, nella nostra contemporaneità, a modificare radicalmente quel concetto di “metafisica” che per secoli ha sostenuto e alimentato l’anima della Pittura. A quale possibile “altrove” può condurre una rappresentazione pittorica del visibile così fedele da rasentare la rappresentazione fotografica? Quale metafisica è possibile da ciò?
Il fenomeno è tutt’altro che nuovo, così come ben noto è il percorso che dal XV secolo ad oggi ha portato al cosiddetto “iperrealismo”. E’ nei primi decenni del ‘400, infatti, che per la prima volta vengono utilizzati strumenti ottici per la realizzazione di tele dipinte. Improvvisamente, senza gradualità alcuna, si passò da una rappresentazione ideale della realtà, ancora saldamente ancorata a canoni medioevali, ad una fortemente realistica portatrice di nuovi valori e nuovi misteri. Aprendo la strada ad un modo di vedere il mondo fino ad allora inedito e destinato a cambiare in maniera determinante l’intera storia dell’arte. Si può in un qualche modo affermare che in quel momento nacque un nuovo concetto di metafisica, destinato, alla luce della nostra modernità, a sfociare nella più parossistica espressione pittorica immaginabile, talmente estrema e rivoluzionaria da modificare il concetto stesso di “pittura”.  Ritorniamo così alle domande che hanno aperto questo discorso: a quale possibile metafisica si riconduce quest’arte iperreale? Quali valori rivela e quali misteri crea una pittura nella quale tutto, anche se stessa, è rivelato con una verità stupefacente?
La risposta, complessa e tutt’altro che definitiva, a tratti anche apparentemente contraddittoria, può essere rintracciata nel nichilismo che domina la nostra epoca. Finite le ideologie, estinti ed esiliati dei ed eroi, sovvertiti i valori che per secoli avevano sostenuto la nostra cultura è un altro “altrove” quello a cui l’arte si deve necessariamente rivolgere. Chi non ha speranza si è rapidamente convertito all’orrore ed al gioco circense della provocazione a tutti i costi (non rendendosi conto della terribile gratuità e vetustà della scelta), mentre coloro che la speranza l’hanno forte e vivida, tanti pittori e scultori animati da un’incrollabile fede nella Bellezza e nei suoi valori, hanno coscientemente scelto la strada di un realismo esasperato, di un idealismo inedito, la via di una nuova metafisica, cinica ma appassionata, spesso glaciale ma sempre sorprendente, possibile ed impossibile nel contempo, fino ai limiti della prevedibile capacità umana (ed in totale opposizione allo storico concetto di “iperrealismo” americano). Un teatro della rappresentazione totalmente autoreferenziale, che indaga la Bellezza attraverso se stesso, e che, come in una messinscena barocca, si rivela per stupire, per abbacinare, per meravigliare, e lì, in quello scarto senza tempo dato dall’incontro con l’inatteso, insinuare il senso di un nuovo mistero, creare un’emozione senza nome che rapisce e incanta: nuove rivelazioni, nuovi misteri, una nuova metafisica del cinicamente autoreferenziale, portatrice di un nuovo, estremo, rivoluzionario concetto di “pittura”.
Effettivamente, riprendendo il filo di quanto già scritto in occasione di altre indagini sul fenomeno, il “Realismo”, inteso come una mera rappresentazione della realtà, in pittura non esiste. Né potrebbe esistere, essendo il dipingere essenzialmente, così come inteso nella sua secolare tradizione, un “fatto mentale”, per dirla con Leonardo, che partendo dalla realtà ci trasporta in una dimensione “altra”, (anche diversamente) metafisica per l’appunto, fuori da qualunque tempo e da qualunque spazio. La storia dell’arte tutta è un esempio di ciò. Dalle Veneri paleolitiche, la cui caricaturizzazione degli attributi sessuali era foriera di quel desiderio e di quel bisogno di fertilità ed abbondanza per loro vitali, fino ad oggi, ogni epoca della vicenda umana è stata caratterizzata da una visione della realtà figlia, insieme, di istinto e cultura e sempre lontana da un realismo meramente illustrativo. Non a caso l’immagine dipinta diventa, attraverso la pittura, segno-simbolo, icona portatrice di concetti e significati, mai la sterile rappresentazione di sé stessa. La storia della pittura, quindi la storia della rappresentazione, risulta perciò strettamente legata a quel fenomeno che oggi chiameremo “moda”, espressione e sintesi, in chiave più che mai contemporanea, di quei bisogni istintivi e di quegli ideali che stanno alla base di ogni creazione artistica. Si pensi solo a Piero della Francesca, a Michelangelo, allo stesso Caravaggio, a Rubens o a Picasso: in tutta la storia del mondo la realtà visibile è rimasta essenzialmente la medesima, con le sue forme e i suoi colori, ma la sua rappresentazione, sempre iconicamente riconoscibile, è cambiata, seguendo di volta in volta l’evolversi e il variare degli istinti e delle idee, in una parola seguendo i dettami della moda.

Diverso il discorso sull’Iperrealismo. Nato negli Stati Uniti nei primi anni ’60 del secolo scorso, in contrapposizione alla libertà stilistica totale dell’Action Painting e degli espressionisti astratti, l’Iperrealismo (definito come tale solo nel 1972 in occasione della sua “consacrazione” ufficiale a Kassel in occasione di Documenta 5), di contro, si pone come obiettivo l’annullamento del punto di vista del pittore nell’immagine dipinta. Se l’artista astratto distrugge l’icona per imporre la propria visione del mondo in maniera assolutistica, l’iperrealista si impone di rappresentarla con una precisione ed una fedeltà tali da trasfigurarla, da renderla più vera della verità sin nei suoi “inganni ottici” più complessi. E quindi ancora una volta in maniera non-realistica.
In Italia il fenomeno di questo realismo “cinico” (in quanto assolutamente autoreferenziale) ha assunto un’importanza capitale. Lontano dalla fredda e quasi meccanica ideologia dell’Iperrealismo “pop” americano, e contemporaneamente pregno della grande tradizione pittorica occidentale, l’”iperrealismo” italiano si è sviluppato con caratteri e peculiarità uniche. Non una pittura ancorata alla metafisica dell’”altrove”, ma anzi profondamente indagatrice di sé stessa, della propria anima, del proprio “dentro”, e come tale riferibile solo alla propria anima ed alla propria idea.
In Italia il concetto di “Realismo cinico” è inevitabilmente associato, almeno fino alla metà degli anni ’90 quando il suo linguaggio era ancora puramente pittorico, al nome di Luciano Ventrone. L’approccio del pittore alla realtà appariva, insieme, fra i più eccentrici e originali, italianissimo nel “calore del colore”, nel chiaro e costante riferimento al Barocco e nel suo essere scevro da quella componente “pop” così tipica in questo genere di pittura, soprattutto in quella di matrice statunitense.
Tra i pittori italiani più eccellenti che portano il concetto di mimes alle estreme conseguenze, con caratterizzazioni personalissime e altrettanto italiane, delineando un vero e proprio filone ancora largamente inesplorato, vi sono autentici fenomeni ormai internazionalmente riconosciuti come Roberto Bernardi, Giuseppe Carta, Alessandra Ariatti, Cristiano Pintaldi, Luigi Benedicenti ed Enrico Ghinato. Seguiti da altrettanto straordinari pittori in piena ascesa come Fabio Aguzzi, il disegnatore Andrea Boyer, Salvatore Mammoliti, Francesco Capello, Michele Taricco, Enrico Guarino, Enrico Ghinato via via fino alla generazione più vicina a noi, rappresentate da Daniela Montanari, Mauro Maugliani, Claudia Bianchi, Andrea Barin, Marzio Tamer e a giovanissimi emergenti carichi di talento come Marica Fasoli, David De Biasio, Paolo Tagliaferro, Emanuele Dascanio e Riccardo Negri, ultima generazione di iperrealisti doc.
Il trionfo della mimesis sull’invenzione continua…

(da "Art Dossier", settembre 2010, Giunti Editore)